Alessandro Mendini

Protagonista della rivoluzione del sistema design iniziata negli anni Ottanta, è scomparso a Milano il 18 febbraio 2019. Ha segnato con le sue iniziative e con i suoi progetti un’intera stagione del progetto italiano, traghettandolo dalla sua condizione di design di qualità, ma spiccatamente nazionale, a quella di sistema progettuale dotato di un’identità fedele alle origini ma in grado di diffondersi su scala mondiale.


Aveva sottolineato come il senso del suo lavoro fosse, più che la creazione di oggetti, il suo “naturale atto vitale che è quello di produrre immagini”. Dalla sua adesione al radical design alla precisazione dei suoi percorsi con Alchimia, strumento di diffusione di idee oltre che di progettazione, ha percorso la storia recente del design italiano intervenendo sulla cultura aziendale prima che sull’identità dei singoli prodotti, con un ruolo centrale nella formulazione della nuova identità di società e prodotti tra cui Zanotta, Alessi, Swatch, Philips, Bisazza e Cartier.

Suoi, oltre alla celeberrima poltrona Proust 1978) prodotta prima da Kandissi e poi da Cappellini, e al tavolo Macaone per Zanotta, gli oggetti per la tavola per Alessi a partire dal programma Tea & Coffee Piazza (1983), fino ai più recenti lavori per le società coreane LG e per Openbook (2010).

Tra i suoi più importanti lavori d’architettura il Groninger Museum in Olanda (1988-2010), le fabbriche Alessi e il Forum-Museum di Omegna (1996), la ristrutturazione del quartiere Maghetti a Lugano (1998), il rinnovo della Stazione Termini a Roma (1999), il restauro della Villa Comunale (1999) e di tre stazioni della Metropolitana a Napoli (2000), la nuova Fiera e la nuova sede della Triennale di Milano a Incheon, in Corea del Sud (2008-2009).

Ricercatore e comunicatore, è stato direttore delle riviste Casabella (1970-1976), Modo (che fondò nel 1977 e diresse fino al 1981), e per due volte di Domus (dal 1979 al 1985 su indicazione dello stesso Gio Ponti, e 2010-2011). Tra i suoi volumi teorici Paesaggio casalingo (1979), Architettura addio (1981), Progetto infelice (1983), Existenz maximum (1990).

Premiato con il Compasso d’Oro nel 1981 per una ricerca di Studio Alchimia e con il Compasso d'Oro alla carriera nel 2014, gli si deve l’elaborazione di concetti fondamentali per il design italiano degli ultimi due decenni del Novecento: da quello di “design neo-moderno”, che rompe le regole del Modernismo a favore di un sincretismo postmoderno, a quello di “redesign”, che fa rinascere manufatti  esistenti attravreso la decorazione e lo spiazzamento della loro immagine, anche con lo strumento consapevole del Kitsch.

Sul metodo che ha ispirato il suo lavoro di progettista è esplicita una frase nella pagina di apertura del sito web Atelier Mendini, che raccoglie il suo lavoro insieme con quello di Francesco Mendini: “La nostra opera infatti è un sistema continuo la cui immagine globale è essa stessa il soggetto del nostro lavoro. I singoli progetti si presentano perciò come dei frammenti fissi in un sistema mobile, sono i materiali tangibili e parziali di un flusso astratto di idee.