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Per fare un tavolo ci vuole un fiore

Design, etica, tecnica


"Per fare ubn tavolo ci vuole ubn fiore": concludeva così una sua famosa filastrocca Gianni Rodari, in un neppure tanto lontano, tormentato 1974. Molto spesso è compito dei poeti rendere in forma comprensibile le più grandi tematiche di un’epoca e certamente, a partire da quegli anni, la salvaguardia dell’ambiente ha assunto un valore globale e condiviso non più solo da uno sparuto gruppo di ‘profeti del malaugurio’. Ma altrettanto spesso è compito delle favole esprimere verità difficili attraverso una narrazione apparentemente semplice quanto poetica, certamente lontana dalle dotte disquisizioni, dai tratti vanitosamente incomprensibili. Non credo ai discorsi fatti per ingarbugliare le questioni, mi piace pensare che anche le questioni più complesse possano e debbano essere affrontate con un linguaggio capace di comprendere ed essere compreso. Forse è per questo che attribuisco grande valore alle favole.
 
Per fare un tavolo ci vuole un fiore, perché il legno viene dalla natura e dal suo perpetuo ciclo vitale, oggi più che mai da difendere. Ma per fare un tavolo ci vuole anche un uomo, ci ricorda sempre Rodari, e per fare un uomo ci vuole amore. Amore, fiori... un processo complesso che lega indissolubilmente l’uomo ai suoi artefatti e alla natura. 
 
Il design italiano, dalle sue origini e in tempi non certo sospetti, ha integrato nella sua prassi quotidiana le tematiche della sostenibilità ambientale con il garbo non urlato tipico del Made in Italy: l’etica i progettisti non devono professarla, devono costruirla.
 
Oggi, nel grande cortile planetario, purtroppo il rumore di fondo di chi si straccia le vesti pubblicamente per la sostenibilità e le questioni sociali, nonostante curriculum certo non coerenti con le grandi dichiarazioni d’intenti, è diventato assordante. Ecco perché ADI, alla caduta del muro di Berlino prima e al giro del millennio poi, ha elaborato un Design Memorandum da condividere e da utilizzare come misura della prassi di design: una mappa concettuale dove le responsabilità personali si intrecciano con quelle collettive. Un documento che ho sempre ritenuto coraggioso, ma che oggi leggo come fondamentale affinché il progetto moderno non scada nella casualità o peggio nell’opportunismo peloso.
Il design affronta oggi grandi sfide tecnologiche e responsabilità che possono avere conseguenze planetarie, sia per quanto riguarda l’impatto dei nostri artefatti e azioni sull’ambiente, che a oggi resta l’unico che abbiamo a disposizione, ma anche sulla dignità del nostro passaggio in questo ambiente.
 
Il nostro paese resta saldamente tra i principali poli manifatturieri nel mondo, con un apporto tecnico-scientifico e di trasformazione di altissima qualità. Ma si distingue, ritengo, per aver saputo unire queste competenze tecniche straordinarie con quello che Rodari, molto più poeticamente, definisce come amore per l’uomo. Un uomo complesso e spesso contraddittorio, ma capace di grandi sogni e – come mi ricordava un vecchio uomo politico – “i sogni diventano realtà quando più persone fanno lo stesso sogno”.
Il design italiano parla di tavoli e di fiori contemporaneamente, parla una lingua apparentemente semplice – un po’ come le poesie di Rodari – parla un linguaggio comprensibile a tutte le latitudini e da tutti gli idiomi, perché parla delle grandi questioni dell’uomo con l’amore per l’uomo.
 
Il design è oggi un forte movente aggregativo, uno tra pochissimi capaci di attrarre cervelli nel nostro paese. Migliaia di giovani, da tutto il mondo vengono in Italia per studiare e capire il nostro metodo di progettazione. Un’attività che però non si risolve nella semplice cessione di know-how, bensì si concretizza in una più complessa e virtuosa identificazione con il design italiano stesso. Una attività capace di amalgamare esperienze e sensibilità lontane, integrandole con il nostro sistema produttivo, trasformando il tutto in quello che definiamo semplicemente “Made in Italy”.
 
In questo panorama ADI rappresenta dal 1956 l’esempio della prima vera piattaforma di scambio e valorizzazione interdisciplinare: raggruppa infatti progettisti, imprese, sistema della comunicazione, sistema formativo e sistema distributivo. Una associazione “di filiera”, perché il design italiano è un prodotto di successo in quanto capace di interazione e coordinamento. In questo scenario il ruolo delle istituzioni è diventato sempre più protagonista per la costruzione di un vero e proprio sistema di sviluppo sostenibile del paese. Non un fattore esterno, bensì oggi un fattore interno con cui confrontarsi e dialogare. Un momento straordinariamente importante per il nostro paese, ma anche per il cortile globalizzato, dove possibili errori potrebbero avere conseguenze terribili. 
 
ADI tra poco inaugurerà l’ADI Design Museum Compasso d’Oro, un museo che partecipa attivamente al più vasto sistema museale del design inaugurato quest’anno a Milano, che vede, con ADI, la Triennale e Assolombarda – Musei d’impresa protagonisti di una narrazione a trecentosessanta gradi su che cosa è stato e soprattutto su che cosa sarà il design italiano. 
 
Una responsabilità grande, che però ci premia rispetto a un impegno di quasi settant’anni di ricerca, analisi e valorizzazione del sistema design italiano attraverso il nostro Compasso d’Oro ADI.
 
Questa edizione di ADI Design Index, insieme con la precedente, ci accompagnerà al prossimo Compasso d’Oro del 2020. La fotografia che vediamo è una fotografia di grande qualità del sistema manifatturiero italiano, in ambiti sempre più vasti e diversificati, ma anche una fotografia in grande evoluzione rispetto alle nuove sfide che il design dei servizi e per il sociale stanno affrontando, dando risposte originali e spesso inattese.
 
ADI svolge un lavoro di analisi del design in tutta Italia grazie a un Osservatorio permanente composto da circa 150 esperti di varie discipline. A quanti hanno contribuito a questa edizione dell’Index vanno il ringraziamento dell’associazione e il mio personale.
Un grazie doveroso va certamente alle istituzioni che ci sostengono convintamente e concretamente, così come un grazie va a tutto il sistema produttivo italiano che, nonostante le difficoltà di una competizione sempre più difficile e globale, continua a lavorare ogni giorno con passione e intelligenza applicata. Un grazie poi a tutti i soci dell’ADI, per l’entusiasmo e il coraggio capaci di rendere sempre viva e contemporanea la nostra associazione. E infine un grazie alla struttura organizzativa ADI, per la pazienza sorridente che ogni giorno trovo nello sviluppo di progetti sempre più articolati e impegnativi.

Luciano Galimberti
Presidente ADI