Nella mostra Neo Preistoria. 100 verbi, che racconta altrettanti oggetti della storia dell’uomo, i curatori Andrea Branzi e Kenya Hara, alla voce Celebrare, hanno scelto il premio ADI Compasso d’Oro per rappresentare una delle attitudini più profonde dell’uomo. Mai come oggi celebrare, rendendo solenne il tempo, è azione fondamentale per rappresentare uno scopo cui tendere. Nell’idea di celebrazione il tempo ciclico viene fermato e diventa intramontabile. Celebrare una festa, sottolinea il filosofo Byung Chul Han, significa vivere un luogo sacro, consacrato dalla festa stessa e dai suoi eroi. Oggi il premio ADI Compasso d’Oro celebra i suoi 70 anni di percorso e la sua Collezione Storica – per Decreto ministeriale patrimonio “di eccezionale interesse” – è conservata in un museo volutamente di ricerca, lontano dalla stantia autocelebrazione, perché celebrare il design italiano sia e resti una festa collettiva.Una storia, quella del premio, che parte da lontano ma che, in una sorta di lungo presente, ha mantenuto coerenza e capacità di sviluppare relazioni propositive per costruire un’idea di comunità civile, ponendo il rapporto tra pubblico e privato come obiettivo e non come semplice opportunità.“Mio caro amico, le scrivo in gran fretta. Parto fra mezz’ora per bombardare Grahovo […] Il titolo per la Società è questo. L’ho trovato ieri sul vallone di Chiapovan: LA RINASCENTE. È semplice, chiaro e opportuno”. Con queste poche righe, nel 1917, Gabriele D’Annunzio comunicava a Senatore Borletti il nuovo nome per la società che aveva appena rilevato dai fratelli Bocconi.Un nome semplice e chiaro, certamente, ma perché “opportuno”? Perché quella che chiameremmo oggi mission era diventare il riferimento culturale per la nuova borghesia, che viveva l’esperienza di una società modernista affrontando per la prima volta senza falsi pudori problemi di praticità, igiene e gusto rinnovato.Ma la vera novità è che un magazzino, un 'negozio', si fa carico di colmare un gap produttivo italiano, promuovendo così nuove tecniche, nuove professionalità, una nuova estetica. In quegli anni la Rinascente inventa di fatto un modello inedito di relazione tra progetto, produzione e mercato.Finita la seconda guerra mondiale, un intero paese era da ricostruire, sia materialmente che moralmente, dalle basi. In questo clima, nel 1951, si svolge la IX Triennale di Milano. Il tema di riferimento era La forma dell’utile. La Rinascente partecipa a questa esposizione con un ambizioso prototipo di casa “moderna” arredato su disegno di Franco Albini. Un successo clamoroso, che convince la Rinascente, attraverso la lunga collaborazione strategica e artistica con Gio Ponti, ad approfondire la questione di una nuova estetica, lontana dalla retorica del ventennio, applicata a tutti gli oggetti che compongono il nostro panorama quotidiano, e a immaginare e organizzare un vero e proprio premio con l’obiettivo di riconoscere e promuovere i prodotti che si distinguevano per qualità culturali ed estetiche.Nasce così il premio Compasso d’Oro, da un’intuizione dello stesso Gio Ponti che per primo intravede le potenzialità del design nell’ambito di ogni aspetto della vita quotidiana. La prima edizione vede la luce nel 1954.“D’Oro”, ovviamente, in quanto metallo prezioso, ma “d’Oro” perché riferito al compasso usato dagli scultori per definire le proporzioni sulla base delle regole dell’armonia aurea. Generazioni di progettisti si sono aggrappati all’idea di armonia espressa nella sezione aurea. Un’armonia intrinseca, magari non facilmente descrivibile agli occhi profani, eppure così facilmente percepibile, così inspiegabilmente rassicurante e pacificante. Riferirsi a questi principi sembrò coerente con la cultura e l’impegno dei professionisti interpellati. Un impegno civile prima che di professionalità, un impegno che voleva mettere al centro del progetto moderno l’uomo e la sua felicità. Utopia? Forse, ma ancora di straordinaria attualità.In 70 anni di storia il premio Compasso d’Oro ha rilasciato poco più di 370 riconoscimenti. Un premio che ha assunto sempre più valenza istituzionale, candidando il nostro miglior design nel mondo a un ruolo di riferimento culturale prima che estetico, affermando l’idea che il design italiano non sia attività limitata alla definizione delle forme, quanto alla costruzione di relazioni profonde con quelli che oggi è certo limitativo definire “fruitori”.Per proiettare il premio in una dimensione più istituzionale ed evitare potenziali critiche rispetto a scelte che, in quel periodo storico, venivano fatte in pratica nel ristretto ambito delle aziende che di fatto si raggruppavano attorno a Rinascente, quest’ultima decide nel 1958 di passarne la titolarità e l’organizzazione alla neonata ADI Associazione per il Disegno Industriale. Un’associazione non corporativa, anzi: un'organizzazione capace di costruire un dialogo virtuoso e articolato tra le differenti componenti del progetto industriale. Riconoscere che il successo di un progetto e di un prodotto di design fosse il portato di differenti ambiti e contributi da parte di molteplici soggetti – imprese, progettisti, storici, sistema formativo, sistema distributivo, critici e mondo variegato della comunicazione – fu una vera innovazione culturale e metodologica. ADI e il suo Compasso d’Oro rappresentano un’idea originale di design e connotano intorno a quest’idea l’intero design italiano.
Il percorso metodologico del premio ADI Compasso d’Oro
Il premio Compasso d’Oro ha sviluppato nel tempo le modalità di analisi e giudizio, così come la struttura organizzativa che, da pionieristica élite intellettuale, oggi si presenta come un variegato osservatorio permanente multidisciplinare distribuito lungo tutto il territorio nazionale. Un percorso evolutivo che ha sempre interpretato con grande responsabilità l’impegno nella costruzione di una concreta scala di valore della qualità del design italiano nel mondo, da offrire tanto agli addetti ai lavori quanto al grande pubblico.
Oggi l’Osservatorio permanente del Design ADI è composto da oltre centocinquanta esperti multidisciplinari che, attraverso tre momenti di analisi successive, propongono per ogni edizione, nel biennio di lavoro, una selezione ragionata della produzione italiana a una giuria internazionale, che ha poi il compito di assegnare non più di venti premi per ogni edizione. Un premio che ha voluto configurarsi come istituzionale, lontano dai tanti, pur autorevoli, premi commerciali.
Nel tempo la composizione della giuria è diventata anch’essa sempre più multidisciplinare, con l’idea di garantire molteplici punti di vista non autoreferenziali, leggendo il design italiano rispetto alle tante responsabilità che sono state definite da ADI attraverso il trinomio Sviluppo – Sostenibile – Responsabile. Questo lungo percorso di ricerca e analisi rende il premio Compasso d’Oro un esempio unico per scientificità e rigore.
La Collezione Storica
Ambizione di ADI è da sempre stata quella di costituire attraverso il suo premio una collezione permanente, con l’obiettivo di rappresentare nel tempo la storia del design italiano ma, in fondo, con la consapevolezza di rappresentare contemporaneamente una sorta di autobiografia del Paese attraverso il design.
Edizione dopo edizione, vengono così raccolte oltre duemila opere: un patrimonio culturale straordinario.
Nel 2001 viene costituita la Fondazione ADI – Collezione Compasso d’Oro. Una fondazione che vede ADI come soggetto proponente aperto al rapporto con istituzioni e altri soggetti privati. La costituzione del nuovo soggetto giuridico, legato così specificamente al design italiano, diventa fatto innovativo che cambia significativamente i rapporti tra le istituzioni e ADI, che da subito interpreta queste nuove relazioni come un obiettivo strategico e non come semplice opportunità. Atteggiamento che si concretizza il 22 aprile 2004 nel riconoscimento della Collezione Storica del Compasso d’Oro, da parte del Ministero della Cultura – ai sensi degli articoli 2, 1° comma, lettera c, e 6, 2° comma, del D.L. 490/99 – come “di eccezionale interesse artistico e storico”.
L’ADI Design Museum – Compasso d’Oro
Il ruolo propositivo del museo: contemporaneità dialettica
Conservare e valorizzare sono le due attività portanti di un progetto museale: se per le attività di conservazione i princìpi, i metodi e gli obiettivi sono chiari, per l’attività di valorizzazione la questione è decisamente più aperta. Il concetto di valorizzazione si circoscrive alle sole attività relative alla collezione permanente del museo o si spinge in un territorio dove il patrimonio culturale è materia per costituire una comunità consapevole? Un territorio dove il patrimonio culturale tiene conto del valore materiale delle opere museali quanto di quello immateriale, che si alimenta di una ben più vasta e ricca partecipazione del territorio e della cultura che lo alimenta?
Per ADI Associazione per il Disegno Industriale la risposta a questi quesiti è stata un’assunzione di responsabilità più impegnativa rispetto a quella strettamente associativa, un’assunzione di responsabilità verso una comunità che supera i confini disciplinari quanto quelli associativi. Quindi la decisione di realizzare un museo di respiro internazionale per la propria Collezione Storica e di lavorare affinché diventasse luogo vivo e capace di contribuire alla costruzione di una comunità civile consapevole. Da questa decisione derivava l’esigenza di un museo che fosse il più adatto a questo obiettivo e quindi la ricerca di un’idea propositiva contemporanea.
Il patrimonio fondamentale di un museo è rappresentato dal valore della sua collezione permanente, nel nostro caso la Collezione Storica. La collezione in genere viene considerata come una ‘macchina del tempo’ pensata per garantire ai posteri la fruizione di quello che in un preciso periodo storico veniva considerato rilevante. L’organizzazione della fruizione restava quindi esclusivamente legata all’asse temporale o a una tematica ben circoscritta.
La domanda da porsi oggi è quindi: quale può essere la formula vincente per rendere vitale un museo, in presenza di una collezione permanente di pregio? L’idea fondamentale di fruizione museale che ADI ha adottato nella pratica è che le opere in realtà possano essere lette come nodi temporali e non come cippi miliari su un percorso lineare. Su questa suggestione oggi le opere vengono lette attraverso il loro passato ma al contempo tramite valori ed esperienze persistenti e in sintonia con il tempo nel quale l’opera viene fruita. Una lettura dove l’asse temporale si accorcia drasticamente a vantaggio della visione generale del tempo umano. La teoria applicata si riverbera inevitabilmente sull’organizzazione degli spazi museali, non più pensati a compartimenti stagni: nuove chiavi di lettura suggeriscono infatti l’uso articolato e interagente tra collezione e approfondimenti, un modo di generare sempre nuovo interesse e incentivare il ripetersi della visita del museo, che altrimenti resterebbe cristallizzato attorno alla propria pur ricca collezione. Quanti di noi sono infatti disposti a rivedere periodicamente la stessa collezione permanente? Al di là dell’affezione degli addetti ai lavori ADI crede che servano moventi aggregativi dinamici, generati certo dalla Collezione Storica, ma in continua dialettica con gli stimoli di una contemporaneità rivolta al futuro.
La lettura proposta nell’ADI Design Museum è quindi capace non solo di interpretare la contemporaneità?, ma anche di esserne attore protagonista. Utilizzando una definizione apparentemente contraddittoria ma densa di significati, il ruolo del museo sarà? sempre di più? quello di disseppellire il futuro. Se assumiamo anche il futuro come orizzonte di riferimento del lavoro museale, l’obiettivo ambizioso sarà quello di superare il limite del solo tempo presente per proporre invece una lettura meno relativista possibile del presente stesso, in cui stili e opinioni non siano semplicemente rappresentati, ma inquadrati in una curatela articolata, che permetta di comprendere e partecipare alla costruzione di un futuro condiviso. Un lavoro che coinvolge una multidisciplinarità quasi illimitata, capace di sintetizzare i risultati della ricerca storica, sociologica, comportamentale in una visione capace di prendere posizione e interagire su diversi livelli.
L’archivio
Come si è detto, conservare e valorizzare sono le due attività portanti di un progetto museale e per sviluppare queste attività è fondamentale l’organizzazione di un archivio ricco quanto efficiente.
ADI nel tempo ha raccolto la propria documentazione a ordinata testimonianza dell’attività svolta, ma anche di come si sono formate le idee intorno alle quali sviluppare la propria attività: lettere, documenti, progetti, immagini, riviste e libri. Un patrimonio archivistico variegato e, fino all’apertura del ADI Design Museum, archiviato in ordine cronologico: lo stesso ordine che è stato usato per la conservatoria delle opere della Collezione Storica.
La scelta del progetto museale ha imposto da subito una rilettura della documentazione a disposizione. Da questa prima fase è emersa la necessità di un profondo lavoro di riordino e ricatalogazione del materiale a disposizione, permettendo così nuove chiavi di interpretazione e nuove prospettive. Un lavoro supportato da nuove figure professionali e nuove tecnologie. Ecco quindi che la storica sede associativa riprende vita attraverso la ristrutturazione dell’archivio storico. L’archivio diventa memoria attiva del museo, aprendosi all’accoglienza di lasciti e acquisizioni, e soprattutto aprendosi al dialogo strutturato con i più importanti archivi italiani.
Essere liberi significa realizzarsi insieme
Se è vero che il mondo è diventato fluido, alla domanda sul perché date persone sono in quel dato luogo la risposta più corretta è che quel gruppo di persone si riconosce nel valore di un momento di felicità condivisa, un momento che può essere inteso come costruzione di un bene comune. Questa semplice considerazione vale a maggior ragione per tutte quelle comunità di persone che cercano l’appartenenza a una comunità di interessi comuni. Il senso di felicità condiviso si fonda principalmente sul riconoscimento di valori condivisi, capaci di creare fiducia ed empatia verso una fruizione che ci faccia vivere sensazioni dimenticate e indimenticabili. Non un’operazione astratta bensì una operazione che è frutto della volontà di chi intende condividere i propri valori. Un museo in quest’ottica non solo può avere interesse a favorire questa condivisione ma può assumere il compito civile di far emergere le caratteristiche di questo nuovo mondo quasi fluido da quello quasi solido del passato, in una composizione originale e stimolante di contemporaneità dialettica.
Anche in un mondo fluido le forme di aggregazione sociale richiedono la creazione di condizioni favorevoli affinché queste aggregazioni si formino. Un museo che voglia essere parte della contemporaneità può diventare concreto movente aggregatore di comunità sia di interesse che di scopo: un ruolo attivo capace di creare e curare quelle condizioni per la costruzione di una comunità viva.
70 anni di storia sono un bagaglio importante, ma anche un impegno a fare sempre meglio. 70 anni di storia sviluppata attorno a un'associazione che ha saputo riformarsi costantemente, facendo di questa idea riformista la garanzia di onestà intellettuale necessaria a diventare concreta unità di misura della qualità del design Made in Italy. Un percorso lungo, fatto di idee e grandi personalità alle quali dobbiamo riconoscere lungimiranza e generosità, ma anche un percorso corale e polifonico che vede un’associazione sempre vitale. Un grazie quindi ad ADI e un grazie a tutti coloro che – istituzioni per prime – hanno sostenuto questo percorso.
Buon design a tutti.
Luciano Galimberti, presidente ADI