Quando, nel 1917, Senatore Borletti rilevò dai fratelli Bocconi i resti della catena di grandi magazzini “Città d’Italia”, fu a Gabriele D’Annunzio che si rivolse per ribattezzare la società. Questi, pur in mezzo alla battaglia della Bainsizza, trovò il tempo e l’ispirazione per coniare il nuovo nome: “Mio caro amico, le scrivo in gran fretta. Parto fra mezz’ora per bombardare Grahovo … Il titolo per la Società è questo. L’ho trovato ieri sul vallone di Chiapovan: LA RINASCENTE. È semplice, chiaro e opportuno”. Iniziava così l’avventura dei più famosi grandi magazzini italiani.
Il programma varato da Senatore Borletti e dal cognato Umberto Brustio, dal 1919 amministratore delegato della società, era quello di fare de La Rinascente il riferimento più autorevole per i gusti della nascente borghesia italiana, ma anche un’occasione per il rinnovamento modernista della società. Da un lato, “avvicinare l’arte alla vita”; dall’altro “conquistare a criteri di praticità, igiene, buon gusto, strati sempre più vasti di popolazione, proporre in forme nuove gli oggetti più consueti dell’arredamento e dell’abbigliamento”. Così, se l’immagine pubblicitaria venne affidata ai cartelloni di Marcello Dudovich, raffinato autore delle più sofisticate illustrazioni dell’epoca, già alla fine degli anni ’20, La Rinascente commissionava all’architetto Gio Ponti una collezione di arredi moderni. Denominata Domus Nova, la nuova linea puntava - nelle parole di Gio Ponti - a mettere “in primo piano… il problema essenziale dell’igiene, della comodità, della praticità e della qualità” e, pur lontana dal rigore razionalista delle proposte Bauhaus, segnava un netto rinnovamento del gusto e della produzione italiani.
Ma sarà soprattutto nel secondo dopoguerra che, grazie alla posizione dominante raggiunta sulla scena della grande distribuzione, La Rinascente si troverà a svolgere un ruolo di autentico leader nell’evoluzione della produzione e della comunicazione in un momento di radicale riorganizzazione dell’economia italiana e di progressiva crescita dei consumi.
Alla fine degli anni ‘40 La Rinascente si dotava di un proprio ufficio interno, quasi una direzione artistica sul modello di quanto attivo alla Olivetti sin dal 1928, con il compito di sovraintendere la strategia d’immagine e di comunicazione, la costruzione di nuovi negozi e strutture di servizio, e, di lì a poco, la progettazione di prodotti a marchio La Rinascente la cui realizzazione era poi affidata a produttori esterni. Per più di 20 anni l’Ufficio studi de La Rinascente ha rappresentato a Milano un centro di eccellenza della cultura del progetto, occupandosi di grafica, design, architettura e comunicazione. Qui sono passati importanti progettisti come Franco Albini, Carlo Pagani, Marco Zanuso, Alberto Rosselli, Bruno Munari, Tomas Maldonado, Augusto Morello e un instancabile Gio Ponti. E qui si sono formati alcuni dei migliori giovani talenti come Italo Lupi, Mario Bellini, Adries van Onk, Roberto Sambonet. A coordinare il dipartimento pubblicità è chiamato Albe Steiner, mentre l’incarico di disegnare il nuovo logotipo de La Rinascente è affidato nel 1950 Max Huber.
Nel 1951, in occasione della IX Triennale di Milano incentrata sul tema Forma dell’utile, La Rinascente presenta un appartamento tipo per quattro persone progettato da Pagani e una collezione di arredi disegnata da Albini.
È in questo contesto che a La Rinascente prende forma l’idea di organizzare una mostra di nuovi prodotti che, con il titolo L’estetica del prodotto, affermi il valore estetico e culturale di tutti gli oggetti d’uso quotidiani. Con una raffinata immagine curata da Albe Steiner, la mostra fu inaugurata nell’ottobre del 1953.
Enrico Morteo